Articolo tratto da: https://diognetoblog.wordpress.com/2021/11/06/spadaro-ha-ragione-e-poi/
L’articolo di Antonio Spadaro (1), direttore di Civiltà Cattolica apparso su l’Avvenire del 4 novembre, mi ha dato diversi spunti per una riflessione che vorrei condividere con voi in questo post.
Lo stile, schietto e diretto come quello usato dal Santo Padre quando parla del cammino sinodale, invita ad una presa di posizione decisa in modo da “rovesciare” i tavoli del potere sullo stile di
Gesù al tempio quando scaraventa in aria i banchi dei mercanti nel tempio.
L’articolo parte da una constatazione tanto semplice quanto poco scontata:
la Chiesa si nutre di diversità, ormai,
la romanitas e la latinitas sono un ricordo di un tempo che non c’è più.
Spadaro ha ragione! Ma mi sembra che questa diversità che oggi si erge a risorsa, fino a poco tempo fa era vista come un problema. Si s
ta forse cercando di chiudere le stalle quando, ormai, il gregge è scappato? Forse non si riesce più ad omologare i pensieri divergenti e allora li trasformiamo in ricchezza? Giusto e condivisibile… ma a coloro che si sono sentiti “fuori dalla Chiesa” in questi ultimi 30 anni, chi può ridare tutti quei “rospi che hanno dovuto ingoiare”?
Ricchezza e diversità prendono le forme di uno stile musicale che, nell’improvvisazione, trova la sua forma più pura: il Jazz. Per suonarlo è fondamentale la capacità di entrare in sintonia con i componenti del gruppo perché, con un solo sguardo, si può seguire o cambiare il ritmo, aprire uno spazio o chiudere il pezzo.
La Chiesa, in special modo il clero, che fino a ieri batteva il tempo, dettava lo spartito ed esigeva di aprire e chiudere ogni concerto, oggi è capace di “fare” squadra? Si fida delle intuizioni di uno strumentista esperto, ma appena arrivato?
Dall’altra parte troviamo strumentisti che non sanno improvvisare perché, fino ad oggi, hanno preferito seguire il ritmo senza trovare mai il coraggio di sentirsi corresponsabili della produzione musicale…
Facciamo però ora un passo avanti nell’articolo!
Vero… lo stato sinodale deve essere colmo di inquietudine, di Spirito che soffia e “sfonda” porte chiuse da troppo tempo. Ma queste porte siamo sicuri di volerle aprire? O siamo già pronti a dire: questa porta sì, questa è meglio di no… questa sì perché è già malandata, questa no perché è chiusa a due mandate…
Noto, purtroppo, che si dice “lasciamo agire lo Spirito” poi, sottovoce, si aggiunge “ma come vogliamo noi”.
Siamo così sicuri di voler lasciare la comfort zone che vede i sacerdoti lamentarsi del poco impegno dei laici e i laici lamentarsi del poco impegno dei sacerdoti rimanendo immersi nel mare magnum delle lamentazioni rischiando di affogare tutti?
Arriviamo però ora al cuore dell’articolo che mi fa vibrare le vene di gioia ma che, alla fine, mi lascia confuso non riuscendo a comprendere, fino in fondo, chi sono questi mercanti nel tempio da scacciare e quali sono i tavoli da ribaltare.
I mercanti sono sempre prossimi al temp
io, perché lì fanno affari, lì vendono bene: formazione, organizzazione, strutture, certezze pastorali. I mercanti ispirano l’immobilismo delle soluzioni vecchie per problemi nuovi, cioè l’usato sicuro che è sempre un «rattoppo », come lo definisce il Pontefice. I mercanti si vantano di essere «al servizio » del religioso. Spesso offrono scuole di pensiero o ricette pronte all’uso e geolocalizzano la presenza di Dio che è «qui» e non «lì».
Purtroppo siamo abituati a vivere in una Chiesa estremamente gerarchizzata e, questo sistema, è molto difficile da rovesciare! Sulla teoria non ci batte nessuno, forse siamo i migliori a parlare di futuro… poi, sul presente, ci si incaglia nelle paure, nelle diffidenze e nell’efficientismo.
Al termine della lettura dell’articolo guardando alla realtà ecclesiale che vivo posso solo notare che si nota una spaccatura dentro la Chiesa che rischia di diventare un muro invalicabile dividendo chi si crede Ortodosso e chi invece viene definito “extra ecclesia”.
In questi momenti mi viene in mente sempre un Salmo e, più precisamente, il 56 quando recita:
Voglio cantare, voglio inneggiare:
svégliati, mio cuore,
svegliatevi, arpa e cetra,
voglio svegliare l'aurora.
C’è bisogno di non lasciare spazio alla notte, che già avanza di per sé senza il bisogno del nostro aiuto… c’è bisogno di tornare a cantare per “svegliare” l’aurora… forse allora il Jazz può essere il modo giusto per non tornare a fare quello che si è sempre fatto!
(1) https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/lo-spirito-autentico-dei-sinodi-nel-sapersi-mettere-in-gioco-
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