Riflessione preparata in collaborazione tra il Sinodo digitale e il gruppo europeo di riflessione Teologica (GERT) dell'Ordine dei Missionari Comboniani.
Introduzione.
Parlare di realtà multiculturale, multireligiosa, plurale in Europa è un dato di fatto che dovrebbe essere scontato. Tuttavia, si rischia, anche negli ambienti missionari, di vedere l’alterità come stranezza, differenza, qualcosa che debba essere in ogni caso fatto rientrare nei canoni del conosciuto, di ciò che ci è noto e familiare. Anche quando si parla di Chiesa in uscita, infatti, si rischia di comprendere il riconoscimento solo a partire dalla propria prospettiva e di vederlo come invito ad entrare in una realtà ecclesiale più o meno strutturata. Parliamo di accoglienza, infatti, e non di riconoscimento dell’altr* che richiede che ci si fermi sulla soglia e si contempli la creata diversità. Come missionarie e missionari siamo stat* espost* al cammino che pone il riconoscimento dell’altr* al centro, ma in Europa si rischia di riprendere posizioni e atteggiamenti che sembrano meglio adeguarsi alla realtà ecclesiale in cui si è inserit*. La funzione profetica della Missione in Europa risulta quella di crescere nel riconoscimento dell’altr* in tutte le sue dimensioni di esistenza.
Metodo.
Abbiamo voluto preparare questo articolo attraverso una lettura, ascolto e condivisione collettiva fatta all’interno di un piccolo gruppo di cristian* credenti. Questo gruppo si è costituito circa tre anni fa attraverso alcuni social e si è ritrovato online abbastanza regolarmente a discutere e condividere su temi scelti legati al cammino sinodale, mettendosi in ascolto e dando spazio a persone e gruppi marginalizzati all’interno della Chiesa. Il gruppo stesso è eterogeneo, con persone con storie e cammini diversi ma tutte accomunate dall’unica fede e consacrazione battesimale, e dallo stesso desiderio profondo di riconoscersi come credenti. Ci è sembrato che per poter sperimentare la ricchezza della Parola sulla tematica del riconoscimento non fosse possibile farlo in forma solo teorica ma che esso esigesse un’esperienza d’insieme che concretizzasse fin dal suo inizio la finalità stessa della ricerca. L’ascolto e riflessione sul tema del riconoscimento dell’altr* fatta insieme a questo gruppo è infatti una grande ricchezza oltre che una sicura sfida agli stereotipi che rischiano di dominare la nostra riflessione ed esegesi.
Il metodo stesso, infatti, è già una forma di riconoscimento dell’altr* nella sua identità di credente. Significa riconoscere lo Spirito presente in ciascun* che ispira e comunica attraverso le parole di ciascun*. Non si tratta quindi di “ridare” la Parola a chi non può parlare (perché non può parlare?), men che meno di parlare a nome di chi non può parlare (il famoso e ambiguo ‘essere voce di chi non ha voce’). Si tratta invece di voler riconoscere l’unica Parola che è incarnata in noi, si veste di noi e si comunica attraverso di noi con toni, sfumature, colori, accenti molto diversi. È proprio vero che se non possono parlare tutt*, non ci può essere comunicazione piena dello Spirito. E’ quindi un metodo che risulta in uno scardinare la logica che vede la Parola come “offerta” benevola da qualcun* che detiene il potere di farlo e riflette sulla dinamica dell’evento dell'incontro e dello Spirito come modo di essere Chiesa.
Abbiamo quindi proposto al gruppo l’attività di riflessione, ascolto e condivisione comune sul tema scelto. Una volta accettato, ogni partecipante ha avuto circa un mese di tempo per scegliere e riflettere su un brano di Luca o Atti che per lei o lui era significativo alla luce del tema. In un incontro online, ognun* ha avuto spazio per condividere la sua esperienza alla luce della Parola letta e accolta e nell’ascolto comune delle esperienze dell’altr*. Ne è emersa una grande ricchezza e varietà che qui possiamo solo tentare di riassumere, consapevoli che la nostra sintesi (necessaria ai fini di questo articolo) già toglie parte del fascino della narrazione esperienziale di ciascun partecipante. La versione finale dell’articolo è stata comunque condivisa con il gruppo e comprende nel testo le correzioni e le calibrature proposte e richieste dai partecipanti. Solo in questo senso molto ampio possiamo parlare di una stesura collettiva.
Le diverse possibili prospettive.
“L’interpretazione di un testo è sempre dipendente dalla mentalità e dalle preoccupazioni dei suoi lettori” (Pontificia Commissione Biblica, 1993), ancora più vero quando chi legge la Parola si riconosce in gruppi e tra persone che finora non hanno avuto sufficiente spazio all’interno della Chiesa. Allargare la prospettiva sulla Parola non significa quindi includere qualcosa di nuovo adattandolo al vecchio, ma allargare la visuale e quindi la comprensione della Parola.
Nell’esercizio di ascolto e condivisione nel piccolo gruppo di credenti ciascun* ha ascoltatoo e condiviso la Parola partendo dalla sua situazione esistenziale ed ecclesiale, espressa in forma poetica nel gruppo come “la porzione di Chiesa che io vivo” e muovendosi verso il sogno di relazioni con Dio, gli umani e la creazione che, invincibile e insopprimibile, vive e cresce dentro ciascun*.
In questo ascolto reciproco, ci riconosciamo tutt* in cammino verso il sogno di Dio, un’umanità inclusiva ed includente, in piena relazione con Dio, gli umani e la creazione. Quindi, ci chiediamo: cosa fa crescere e include, e cosa invece blocca ed esclude? E quale cambiamento deve provocare il reciproco riconoscimento per chi si è davanti a Dio e al mondo?
Cosa fa crescere e include.
Cruciale nel processo di riconoscimento di sé e dell’altr* è il cammino di autoconsapevolezza, cioè il riconoscersi davanti a Dio, a se stess*, alle altre persone, alla creazione. Richiede la decisione consapevole di entrare e dimorare in se stess* (Lc 2, 19.51), facendo, a volte faticosamente, unità delle varie esperienze di vita personali e dell’altr*, e delle relazioni vissute nella fede. È un cammino lungo, lungo il quale Gesù sempre si fa trovare e sempre si fa riconoscere in modo inaspettato, sorprendente e provocante a riorientare la propria vita in modo più ampio (Lc 24).
L’autoconsapevolezza non può ovviamente essere l’unico momento, pur importante. Occorre (re)imparare a guardarsi e ascoltarsi, due azioni che devono essere alla base del riconoscimento dell’altr* e della trasformazione che ne consegue. Pensiamo all’incontro di Pietro e Giovanni con lo storpio alla porta del Tempio: “Pietro fissò lo sguardo su di lui […] «Guarda verso di noi»” (At 3, 1-10), dove il doppio sguardo diventa rivelatore di chi si è veramente, di cosa si può donare e della novità che ne può scaturire. Tutti escono da quello sguardo trasformati e con una consapevolezza di sé e dell’altr* più ampia.
Lo sguardo consapevole e ispirato dallo Spirito rende possibile il riconoscimento anche di ciò che è presente nell’altr* ma ancora invisibile, come la gravidanza di Maria agli occhi di Elisabetta che la riconosce come madre e ben oltre (“la madre del mio Signore”), causa di benedizione e gioia (Lc 1, 39-45). Così come solo dopo essere stat* spint* dallo Spirito Simeone e Anna riconoscono il Messia in un comune neonato tra i tanti presenti nel Tempio (Lc 2, 22-38) e Pietro un fratello nella fede in Cornelio, che fino a quel momento era solo un pagano e un nemico (At 10). Soprattutto Pietro, nell’incontro con il centurione, non solo lo riconosce come fratello, ma riconosce che davanti a Dio l’unica ricchezza che può vantare è la sua umanità (“Anch’io sono un uomo”) e addirittura inizia un cammino di comprensione di Dio più profonda, personale e vera (“In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone”).
L’autoconsapevolezza (lo sguardo su di sé) e il guardarsi-ascoltarsi nella relazione umana illuminata dallo Spirito (lo sguardo da e sull’altr*) hanno bisogno di un credito di fiducia e sono costruite lentamente e consapevolmente in ogni relazione umana, nella società e nella Chiesa. Anzi, è proprio nella società che questo processo di riconoscimento riacquista la sua dimensione socio-politica quando la relazione diventa relazione tra popoli e il riconoscimento richiede uno sforzo di sguardo e ascolto collettivo che mette in gioco esperienze vissute, storie comune, ferite e doni ben più grandi di ogni singola storia. È un cammino richiesto ad ogni popolo ma anche alla Chiesa come istituzione storica che si pone nella storia di fronte a singoli, gruppi e popoli. È lo Spirito che incessantemente e infallibilmente esprime forza e creatività nella sua azione nelle vite di donne e uomini perché finalmente tutt* si sentano vist*, ascoltat* e raccolt*. In una parola, si sentano a casa.
Cosa blocca ed esclude
Se la forza creativa dello Spirito è innegabile, non possiamo negare ciò che ancora blocca il cammino ed esclude dalla “casa”. Tante, troppe persone e gruppi ancora si riconoscono relegate ai margini, senza spazio sicuro per potersi esprimere come le loro storie e la loro autocomprensione richiede loro. Il margine diventa, in questo caso, luogo di sofferenza, emarginazione, esclusione attraverso atteggiamenti, comportamenti e strutture incapaci di incontrarsi a viso aperto con la realtà delle persone e delle cose. Ma proprio lì, secondo la logica dell’agire divino, nasce il vero riconoscimento dell’altr* in e con tutta la sua complessità. Dopotutto, proprio la Chiesa è costruita e ancora sostenuta dalla pietra scartata che è divenuta testata d’angolo (Sal 118, 22).
Questo blocco sul percorso dell’incontro, ascolto e riconoscimento è ogni osservanza legalistica e rituale che prendono il sopravvento, in modo sempre ideologico, sul primato della persona e dei popoli. È anche ogni privilegio, sempre legato al potere, che senz’altro influisce sulla lettura, comprensione e interpretazione non solo della Parola, ma anche di ogni altra situazione umana, soprattutto se “fuori” dagli schemi, ai margini di quanto è considerato “normale”. È sempre il potere che definisce i canoni della “normalità”. Ed è sempre in riferimento a questa “normalità” che ognun* può sperimentare fatica sia ad accettare e riconoscere la diversità, il non familiare, il non-canonico, l’illegale, sia la propria debolezza e vulnerabilità, viste sempre come mancanze verso un ideale eccelso e non-umano.
Eppure anche qui, ancora, è lo Spirito che arriva “come vento che si abbatte gagliardo” (At 2, 2) e mette tutto sottosopra. E in Luca e Atti abbiamo una sequenza continua di episodi-incontri dopo i quali ciò che sembrava normale non lo è più e tutt* acquistano in umanità e grazia. Gli esempi sono molteplici: gli Apostoli creano un gruppo di diaconi sotto la spinta (il mormorio) della comunità insoddisfatta di come le cose sono gestite (At 6); Filippo è spinto su una strada deserta ad incontrare, ascoltare e, solo alla fine, battezzare l’eunuco africano (At 8); Saulo è costretto, nel buio della sua cecità, a rivedere tutto l’impianto della sua fede fino a quel momento tutta d’un pezzo (At 9); Anania è sorpreso e costretto ad incontrare Saulo-Paolo, riconoscendolo in modo nuovo e inaspettato; Pietro è condotto da Cornelio e solo nell’accettazione dell’incontro in casa sua, oltre le regole della purità, capisce che Dio non fa preferenze di persone (At 10) ed è più grande della religione ebraica; Paolo e Barnaba sono costretti ad accettare l’invito di Lidia e scoprono la possibilità di una chiesa-comunità-casa domestica fuori dagli ambienti tradizionali della sinagoga e con una leadership femminile.
Riconoscimento e cambiamento.
Il riconoscimento dell’altr* avviene quindi nell’incontro, che è un mutuo guardarsi e ascoltarsi, ma deve anche necessariamente attivare processi di cambiamento reale. La mancanza di tale cambiamento in atteggiamenti, comportamenti e strutture è purtroppo un segnale della mancanza di un incontro vero, di una relazione vera, alla pari.
Al contrario, ogni incontro vero è inevitabilmente trasformante: avviene immancabilmente fuori dai luoghi considerati sicuri e sacri (il tempio, la chiesa, il pensiero dominante…); ci riporta alla quotidianità (per quanto ancora escludente e giudicante), sempre percorrendo una strada diversa da quella che ci ha portato all’incontro (Mt 2, 12), per portarvi ciò che si è trovato “fuori”; ci abilita a vedere al di là delle barriere presenti e agire in modo non convenzionale (Lc 5, 17-26).
Come può essere possibile accogliere l’invito al cambiamento che proviene dall’esporsi all’altr*, soprattutto se divers*? Come è possibile rendere questo cambiamento non una pia esortazione o un temporaneo afflato spiritualistico, ma una vera trasformazione di atteggiamenti, comportamenti, visioni teologiche ed ecclesiali che può davvero creare spazi nuovi di riconoscimento, accoglienza, condivisione e crescita?
Possiamo proporre due passaggi, probabilmente tra tanti altri possibili:
Fare un passo indietro per fare tutt* un passo avanti. Si tratta di fare spazio, di sapersi ritirare perché lo spazio disponibile sia davvero di tutt*. Un esempio chiaro è il primato della vocazione battesimale sulla vocazione apostolica, ministeriale, missionaria. Occorre una seria rivisitazione e nuova comprensione del ministero ordinato che deve inserirsi in un cammino di Chiesa-comunità-di-credenti nella quale l’esperienza unica e unificante è il battesimo e la sequela di Cristo.
Occorre creare spazi sicuri per disimparare (Cancar, 2023), per riappropriarci delle nostre emozioni, ascoltandoci e mettendoci in discussione. Non sono verità predefinite o rivelate a guidare la comunità, ma è la fede concreta delle persone, incarnata in un mosaico di esperienze, relazioni, pensieri, idee ed emozioni. Tutto deve poter avvenire in un dialogo profondo e sincero, “all’altezza degli occhi”, guardandosi e riconoscendosi come persone e credenti. Avviene anche accettando la propria vulnerabilità la cui esperienza è liberante e inevitabile quando ci si muove e si comunica alla pari, oltre ogni ruolo, dando e ricevendo dal profondo di noi stessi.
Tutto questo ci sembra abbia una rilevanza importante nell’attuale contesto europeo, sia socio-politico che ecclesiale. Le diversità culturali e religiose esigono processi nuovi di mutuo riconoscimento, ascolto e accoglienza, che non avvengono più nei contesti tradizionali ma trovano già luoghi, modi e linguaggi totalmente nuovi, o quasi. Essere present* in questi luoghi, fisici e/o virtuali, è una conditio sine qua non per ogni possibile annuncio della Parola. Ma la Parola stessa va re-imparata all’interno di questi contesti, così come lo stesso servizio che le missionarie e i missionari sono chiamat* a offrire in Europa. Non più solo un servizio alla Chiesa locale, sempre più spopolata e ingessata, ma un vero servizio al “locale”, a tutto ciò che è concreto, esiste ed ha già un suo percorso di ricerca e di vita. Saranno proprio le dinamiche imparate “altrove” (in missione) che ci ricorderanno la pazienza, l’umiltà, l’ascolto e tanti altri valori e atteggiamenti che sono irrinunciabili in questi processi nuovi di mutuo riconoscimento. È solo partecipando in questi luoghi e favorendo questi processi di riconoscimento e cambiamento in Europa che potremo favorire il cambiamento a tutte le latitudini.
Conclusione.
L’esperienza di incontro con la Parola e le/gli un* con le/gli altr* propone una riflessione su come la Parola venga letta e interpretata nella quotidianità credente, con tutta la sua diversità di posizioni, riflessioni e comprensioni. Non si può semplicemente “proporre” un percorso, ma accogliere i percorsi di tutt*, lasciarsi accogliere e non solo aprire le braccia. La Parola diventa così avvenimento suo proprio che trasforma la realtà perché cambia tutti i partecipanti. Una lettura condivisa della Parola non può essere semplicemente uno strumento ma è una modalità di vita tra cristiani adulti, riempiti tutti dello stesso Spirito.
La tematica del riconoscimento dell’altr* non può che avvenire insieme, è un percorso comune che esige di uscire dalle logiche ecclesiastiche anche nascoste nelle pieghe delle buone intenzioni missionarie e parte sempre dal riconoscimento di sé come luogo del misterioso incontro tra il divino e l’umano. Come tale, questa esperienza di condivisione ci ha permesso di incontrare l’altr* a partire dall’incontro con la Parola e con noi stess* e ci ha posto alcune domande importanti circa il possibile contributo dell’esperienza missionaria all’evangelizzazione continua dell’Europa.
Bibliografia
Cancar, A. (2023, novembre 7). On Creating Spaces of Unlearning. Convivial Thinking. https://convivialthinking.org/index.php/2023/11/07/on-creating-spaces-of-unlearning/
Pontificia Commissione Biblica. (1993). L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19930415_interpretazione_it.html
* In questo articolo scegliamo di mantenere il linguaggio inclusivo anche nella sintassi usando una delle possibili forme (sostituzione della finale con un asterisco).
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