Il 4 maggio 2022 su TwitterSpace del Sinodo digitale si è svolto l’incontro di ascolto delle persone separate e divorziate nella Chiesa attraverso la mediazione di due avvocati canonisti Rosalia Mazzola e Francesco Lozupone.
Gli avvocati Mazzola e Lozupone sono spesso interlocutori di coppie in crisi che chiedono la nullità del matrimonio religioso. I coniugi abitualmente ricorrono alla separazione e allo scioglimento del matrimonio civile molto prima della richiesta di nullità del matrimonio religioso.
Al centro nord negli ultimi 30 anni le coppie che si sono sposate con rito religioso presentavano queste caratteristiche:
- Uomo e donna non praticanti;
- Preparazione al matrimonio religioso tramite un brevissimo corso per fidanzati in parrocchia;
- Coniugi che dopo la celebrazione del matrimonio tornano ad essere non praticanti in modo quasi immediato rispetto al rito.
Una volta sposata la coppia non ha avuto alcuna prossimità da parte della parrocchia, comunque non più frequentata come cattolici non praticanti oppure non hanno avuto alcuna vicinanza da parte di altre famiglie.
Dagli anni ’90 è diventata molto frequente la convivenza di fatto antecedente al matrimonio civile e/o religioso fino a diventare una condizione stabile della coppia, che in molti casi come coppia di fatto rimane tale senza accedere al matrimonio civile e/o religioso.
L’aspetto più controverso degli anni ’90-2000 è stata l’ammissione dei divorziati e dei divorziati risposati alla Comunione eucaristica.
Dopo lo scioglimento del matrimonio civile gli ex coniugi, comunque ancora uniti dal matrimonio sacramentale, spesso maturano il desiderio di richiedere la nullità del matrimonio religioso alla luce di una nuova relazione iniziata dopo la separazione o il divorzio in sede civilistica.
Queste persone solitamente non hanno come interlocutori i parroci o soggetti che frequentano la parrocchia, in quanto come ex coniugi sono solitamente lontani dal contesto parrocchiale già da molto tempo.
La “patologia” della coppia o dell’ex coppia “esplode” davanti all’avvocato che con gli strumenti del diritto accompagna i coniugi nel percorso di separazione/divorzio.
L’avv. Rosalia Mazzola è patrono stabile presso il Tribunale ecclesiastico interdiocesano e ha un’esperienza ventennale in materia.
L’avv. Francesco Lozupone segue coniugi sia in sede civilistica che canonistica dopo che gli stessi hanno deciso di ricorrere allo scioglimento del matrimonio civile e/o religioso. Con molta passione dà supporto a coniugi che hanno bisogno di consigli ed aiuto per vivere il proprio matrimonio.
Prendendo come riferimento i documenti di Familiaris Consortio del 1981 (d’ora in poi abbreviato in FC) e Amoris Laetitia del 2016 (d’ora in poi abbreviato in AL), l’avv. Lia Mazzola ha spiegato che rileggendo i documenti, di epoca e di legislatore differente, nota anzitutto una variazione del linguaggio. Dal linguaggio assolutamente normativo e perentorio della FC al linguaggio sicuramente “pastorale” di AL.
In particolare in AL emerge il ruolo delle coppie e dei pastori nel discernere le situazioni difficile (irregolari, come le definiva FC), non vi è più un testo fortemente normativo come in FC.
Da donna, rileggendo i documenti, l’avv. Mazzola ha comunque percepito poca evoluzione circa le dinamiche familiari uomo/donna.
La donna, pur auspicando pari dignità e pari opportunità, viene sempre vista come l’angelo del focolare, edita all’educazione dei figli e alla cura della casa; ella può anche lavorare fuori casa, ma è chiaro che ciò appare come una “concessione” nel momento in cui la famiglia ne abbia davvero bisogno per il sostentamento.
In AL non vengono minimamente prese in considerazione per la donna:
- le aspirazioni lavorative;
- le aspirazioni di emancipazione;
- necessità del proprio sostentamento (ad esempio nel momento in cui dovesse venir meno il marito);
- sulla donna (e solo su di lei!) ricade il compito di accudire e curare fedelmente il marito ammalato; non è neanche prevista la possibilità che accada il contrario nel caso di malattia della moglie.
E’ stato chiesto all’avv. Lozupone quali sono gli interlocutori che si presentano più frequentemente davanti a lui come avvocato canonista e ha spiegato che in base ad una grossa di rete di relazioni ed amicizia spesso viene esortato ad ascoltare persone che vivono momenti di difficoltà nel matrimonio molto prima che gli stessi chiedano la separazione, il divorzio o la nullità del matrimonio religioso.
Molti colleghi avvocati lo mettono in contatto con persone che hanno bisogno di consulenza ed aiuto, alle quali dedica una ascolto molto lungo, silenzioso e attento, visivo, prendendo degli appunti.
Successivamente l’avv. Lozupone valuta le possibilità di recuperare il rapporto coniugale, possibilità che di solito non superano il 20-30% di successo in termini di “tentativi tecnici”.
Tuttavia, in questa fase ciò che più lo colpisce è l’assenza della comunità cristiana (senza fare riferimento necessariamente ad un supporto tecnico come quello del consultorio interdiocesano).
Egli avverte la responsabilità di dare qualche indicazione per tentare di recuperare una convivenza o un’unità. A volte le motivazioni alla base del conflitto tra i coniugi appaiono banali, ma sono anche espressione di un’immaturità che risale al tempo della celebrazione del matrimonio stesso. I coniugi presentano un’immaturità nel percepire esattamente “che cosa stanno andando fare” non solo come matrimonio sacramentale, ma come convivenza in quanto tale e ancor più di relazione e accettazione dell’altro. Spesso le persone che si rivolgono a lui rimangono ripiegate sulla propria individualità.
Sui percorsi di fidanzamento l’avv. Lozupone afferma che dovrebbero essere un percorso di vita all’interno della comunità e non un breve corso tecnico. La delega che il parroco fa a persone che danno il corso ai fidanzati non appare adatta al fine di formare ed accompagnare le future coppie.
Paradossalmente l’unico momento in cui il parroco e la comunità sembra essere più partecipe della vicenda della coppia appare quella della promessa di matrimonio, in cui le persone promittenti potrebbero essere messe di fronte a se stesse in termini di consapevolezza ed accompagnati a sperimentare ciò che andranno a vivere, cioè il matrimonio sacramentale.
L’avv. Lozupone ribadisce che in queste dinamiche prenuziali o post nuziali o di crisi di coppia la grande assente è la comunità cristiana, dato che il discernimento sulla celebrazione del sacramento spetta solo al parroco. AL appare “strabica” e non sinodale in tal senso.
La delega al solo pastore per la celebrazione del matrimonio non è fedele alla tradizione, in quanto abitudine delle prime comunità cristiane era quella di portare davanti alla comunità i problemi dei propri membri ed il pastore era un moderatore che aiutava nella loro risoluzione.
Anche solo poche persone in forma organizzata come gruppo o come consiglio parrocchiale potrebbero essere utili in parrocchia per accompagnare le coppie in difficoltà, ma finchè è il parroco a rappresentare il modo esclusivo la parrocchia e a decidere sui sacramenti, la comunità e le persone vengono deresponsabilizzate rispetto al farsi carico delle difficoltà dei propri membri.
L’avv. Mazzola racconta la sua esperienza e racconta che purtroppo nessun fidanzato si è mai rivolto a lei in maniera preventiva. A volte li incontra agli incontri di preparazione al matrimonio dando la sua piena disponibilità per eventuali dubbi; mai nessuno l’ha contattata prima delle nozze (un paio di coppie le ha incontrate nel momento in cui si sono separate).
Le coppie o, meglio, uno dei due coniugi, normalmente si rivolge al patrono stabile (o comunque all’avvocato ecclesiastico) nel momento in cui, trovandosi in una nuova relazione, intende “mettere le cose a posto” e celebrare “nuovo” matrimonio in chiesa. Le virgolette sono d’obbligo perché, tecnicamente, dopo una dichiarazione di nullità (che appunto dichiara che il matrimonio in oggetto di causa non è mai stato celebrato validamente) non si hanno “nuove nozze” o “seconde nozze”, ma un matrimonio dopo un altro che è stato dichiarato nullo. Raramente le coppie si rivolgono a tribunale ecclesiastico solamente per “motivi di coscienza” senza avere necessità di regolarizzare una nuova relazione.
A volte accade che (soprattutto i mariti) si rivolgano al tribunale sperando di riuscire ad ottenere una modifica delle condizioni economiche stabilite in sede di separazione legale; questo può avvenire solo in casi specifici e non è una conseguenza automatica della dichiarazione di nullità.
Una notazione statistica: tra uomini e donne, pur non essendo rilevante la differenza numerica nel ruolo di attore in causa (le cause introdotte quasi si equivalgono numericamente tra quelle introdotte dall’uomo e quelle introdotto dalla donna) vi è, almeno nella sua realtà siciliana, una “prevalenza” quasi morale della donna, nel senso che dietro ad un uomo che chiede la nullità vi è sempre una donna (la nuova compagna) che spinge alla introduzione della causa. Questo perché è comunque presente fortemente l’idea che la donna abbia “diritto” a celebrare matrimonio “come si deve” in chiesa anche come mera apparenza e come forma di “riscatto” sociale.
La donna, nei procedimenti, a volte risulta essere la parte debole (quando l’ex coniuge ha una nuova compagna e il motivo della richiesta sta lì).
Ma al di là dei processi, la donna ancora oggi risulta essere caricata di tutti gli oneri relativi anche al foro interno. A livello numerico, ad esempio, sono solo le donne a confessare i peccati de sexto (ci si chiede a questo punto con chi li commettano), ma anche per quanto riguarda l’aborto (nessun marito/compagno confessa di ave cooperato alla decisione della donna che resta l’unica responsabile). Sono problemi che riguardano, nel comune sentire, esclusivamente le donne.
Inoltre, l’avv. Mazzola non è a conoscenza di particolari iniziative rivolte a coppie risposate dopo una dichiarazione di nullità. C’è da chiedersi, piuttosto, quante di queste coppie sarebbero davvero interessate a tale tipo di attenzione e quante di queste coppie inseriscono il loro “nuovo matrimonio” in una percorso di pratica della fede.
L’avv. Lozupone conferma che molte persone cercano di aggirare i provvedimenti del giudice civile attraverso la dichiarazione di nullità del matrimonio religioso attraverso la delibazione della sentenza da parte del giudice civile. La giurisprudenza civile comunque ha contrastato questa tendenza negli ultimi anni.
Nonostante ciò, il fine principale della richiesta di nullità del matrimonio religioso da parte dei coniugi sembra essere quella di chiedere la revoca dell’assegno di mantenimento nei confronti dell’ex coniuge.
Infine, in conclusione dell’incontro di ascolto sinodale si è affrontato il tema dell’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione, rispetto ai quali appare positivo che AL proponga un accompagnamento della coppia (n. 300 AL) indicandone i criteri per i parroci e per le comunità parrocchiali in quanto tali.
Amoris Laetitia mette in evidenza che l’atto di fede, il desiderio di appartenere a comunità
oranti e di nutrirsi all’Eucarestia per i divorziati risposati o per i divorziati che non accedono a nuovo matrimonio, li abilita alla presenza piena nella comunità cristiana.
In tal senso la mancanza di una comunità soggetto potrebbe essere di aiuto al parroco e a coloro che desiderano questo inserimento.
È sempre con vivo piacere e sete di conoscenza che leggo e rileggo queste sintesi: GRAZIE